1.CANE E CCANE NUN SE MOZZECANO - CUOVERE E CUOVERE NUN SE
CECANO LL'UOCCHIE.
Letteralmente: A- CANI E CANI NON SI AZZANNANO B- CORVI E
CORVI NON SI ACCECANO Ambedue i proverbi sottolineano lo spirito di corpo che
esiste tra le bestie, per traslato i proverbi li si usa riferire anche agli
uomini, intendosi sottolineare che persone di cattivo stampo non son solite
farsi guerra, ma - al contrario - usano far causa comune in danno dei terzi.
2.CANTA CA TE FAJE CANONICO!
Letteralmente: Canta ché diventerai canonico Id est: Urla
piú forte ché avrai ragione!
Il proverbio ironicamente intende sottolineare l'abitudine
di tanti che in una discussione, non avendo serie argomentazioni da apportare
alle proprie tesi, alzano il tono della voce ritenendo cosí di prevalere o
convincere l'antagonista.Il proverbio fa riferimento all’abitudine dei canonici
della Cattedrale che son soliti cantare l'Ufficio divino con tonalità spesso
elevate, per farsi udire da tutti i fedeli.
3.CÀNTERO SPETENATO - CESSO A VVIENTO.
Ad litteram: Pitale spatinato - cesso a vento. Coppia di
icastiche contumelie che a mo’ di offesa vengon rivolte a tutti coloro che sono
ritenuti esserI spregevoli al punto di venir paragonati alternativamente o ad
un vecchio vaso di comodo vaso che per il lungo uso abbia perduto la sua
lucente patina d’origine, o - peggio ancóra, paragonati a quei vespasiani che
un tempo troneggiavano lungo le strade per dar modo, a chi ne avesse impellente
bisogno, di liberarsi dei propri pesi fisiologici. Nell’un caso e nell’altro
chi venga fatto segno anche d’una sola delle contumelie riportate in epigrafe,
significa che è ritenuto un lercio contenitore degli esiti , soprattutto
solidi, corporali. Per completezza preciso qui che il càntero dell’epigrafe non
era specificatamente il piccolo pitale, (termine con cui è stato tradotto, non
avendo l’italiano una parola piú adatta) che oggi conosciamo, ma era un alto e
grosso vaso cilindrico di terracotta ricoperta nell’interno e all’esterno di
una lucente patina invetriata, vaso dall’ampia e comoda bocca, provvisto
lateralmente di due solidi manici necessarii per la prensione; sulla larga
bocca ci si poteva tranquillamente sedere per liberarsi dei propri esiti. Esso
vaso detto anche, sia pure riprendendo un'antichissima formulazione già
riportata nei classici napoletani, all’indomani del 1860, icasticamente si’ peppe
con chiaro riferimento al gen. Garibaldi, troneggiava in tutte le case ,ma
anche nelle camere da letto dei sovrani settecenteschi, alcuni dei quali erano
soliti ricevere cortigiani e/o ambasciatori e plenipotenziari, quasi per
metterli in soggezione, mentre essi monarchi procedevano all’operazione
fisiologica mattutina. Il cesso a viento, sebbene provenga dal tempo degli
antichi romani,è invenzione ottocentesca; concepito alla maniera del cesso alla
turca non aveva porte, ma solo minuscoli divisorii di ghisa che servivano a
tener lontani sguardi indiscreti Mancando le porte o altri intralci ed essendo
a vento cioè del tutto aperti - ne era consentita una rapida pulizia con pompe
idrauliche .
càntero = grosso vaso da notte, pitale da non confondere con
‘o rinale che è appunto l’orinale, vaso molto pi ú piccolo del càntero o
càntaro alto e vasto cilindrico vaso dall’ampia bocca su cui ci si poteva
comodamente sedere, atto a contenere le deiezioni solide; etimologicamente la
voce càntero o càntaro è dal basso latino càntharu(m) a sua volta dal greco
kàntharos; rammenterò ora di non confondere la voce a margine con un’altra voce
partenopea cantàro (che è dall’arabo quintâr) diversa per accento tonico e
significato: questa seconda infatti è voce usata per indicare una unità di
misura: cantàio= quintale ed è a tale misura che si riferisce il detto
napoletano: Meglio ‘nu cantàro ‘ncapo ca n’onza ‘nculo ( e cioè: meglio
sopportare il peso d’un quintale in testa che (il vilipendio) di un’oncia nel
culo (e non occorre spiegare cosa sia l’oncia richiamata…)); molti napoletani
sprovveduti e poco informati confondono la faccenda ed usano dire,
erroneamente: Meglio ‘nu càntaro ‘ncapo…etc.(e cioè: meglio portare un pitale
in testa che un’oncia nel culo!), ma ognuno vede che è incongruo porre in
relazione un peso (oncia) con un vaso di comodo (càntaro) piuttosto che con un
altro peso (cantàro)!
4.CAPURÀ È MMUORTO ‘ALIFANTE!
Ad litteram: caporale, è morto l’elefante! Id est: è morto
l’oggetto in forza del quale eri solito vantarti e raccogliere laute mance,…
non vantarti piú, torna con i piedi a terra!Piú genericamente, con la frase in
epigrafe a Napoli si vuol significare che non è piú né tempo, né caso di
gloriarsi e la locuzione viene rivolta contro chiunque, pur in mancanza di
acclarati e cogenti motivi, continui a darsi delle arie o si attenda onori
immotivati. L’espressione fu coniata nella seconda metà del 1700, allorché il
re CARLO di Borbone ricevette da un sultano turco il dono di un elefante che fu
affidato alle cure di un vecchio veterano che montò in superbia per il compito
ricevuto al quale annetté grande importanza, dandosi arie e riscuotendo buone
mance da tutti coloro che andavano nei giardini di palazzo reale ad ammirare il
pachiderma. Di lí a poco però, l’elefante morí ed ancóra poco tempo fa era
possibile vederne la carcassa conservata nel museo archeologico della
Università di Napoli ed il povero caporale vide venir meno con le mance anche
le ragioni del suo sussiego e talvolta, quando faceva le viste di dimenticarsi
di non essere piú il custode dell’animale, il popolino, per rammentargli che
non era il caso di montare in superbia era solito gridargli la frase in
epigrafe che viene ancóra usata nei confronti di tutti coloro che senza motivo
si mostrino boriosi e supponenti.
5.CARCERE, MALATIA E NNECISSITÀ, SE SCANAGLIA 'O CORE 'E
LL'AMICE.
Carcere, malattia e necessità fanno conoscere la vera
indole, il vero animo, degli amici.Solo nel bisogno s’appalesa la vera amcizia.
Brak
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