1.ACRUS ESTE E TTE
LL’HÊ ‘A VEVERE
Ad litteram : è acre, ma devi berlo
La locuzione è tipico esempio di frammistione tra un tardo
latino improbabile ed un vernacolo pieno.
Cosí a Napoli si
suole ripetere a chi non si voglia convincere della ineluttabilità di talune
situazioni cui bisogna soggiacere, stante una forza maggiore. Narro qui di
seguito la storiella donde prese vita la locuzione in epigrafe. Un anziano
curato era in urto col proprio dispettoso sacrestano che sostituí il vino per
la celebrazione della Messa con un acre aceto. Allorché il curato portò alle
labbra il calice contenente l’aceto, se ne dolse con il sacrista dicendo:
“Acrus est!” ed il dispettoso sacrestano di rimando : “te ll’hê ‘a vevere!”
(Devi berlo Non puoi esimerti.)
il curato, minacciandolo: ” Dopo la messa t’aspetto in
sacrestia...”
il sacrista, concluse: ” Hê ‘a vedé si me truove!”
(Probabilmente non mi troverai...)
Oggi la locuzione non à bisogno di due interlocutori; viene
pronunciata anche da uno solo, da chi tenti di convincere qualcun altro che
debba soggiacere agli eventi e non se ne possa esimere.
2.ADD’ ‘AMICE E ADD’’E PARIENTE NUN CE ACCATTÀ E NUN CE
VENNERE NIENTE
I peggiori affari si concLLUdono con gli amici ed i parenti
dai quali è consigliabile non acquistar nulla, ed ai quali è sconsigliato
vendere alcunché.
3.ADDÓ ARRIVAMMO, LLA METTIMMO ‘O SPRUOCCOLO
Ad litteram: Dove giungiamo là poniamo uno stecco. La
locuzione è usata sia a mo’ di divertito commento di un’azione iniziata e non
compiuta del tutto, sia per rassicurare qualcuno timoroso dell’intraprendere un
quid ritenuto troppo gravoso da conseguirsi in tempi brevi; ebbene in tal caso
gli si potrebbe dire: ” Non temere: non dobbiamo fare tutto in un’unica
soluzione; Noi cominciamo l’opera e la proseguiamo fino al momento che le forze
ci sorreggono; giunti a quel punto, vi poniamo un metaforico stecco, segno da
cui riprendere l’operazione per portarla successivamente a compimento.”
Spruoccolo s.m. = stecco, bastoncino, piccolo pezzo di legno
di taglio irregolare dal b.lat. (e)xperoccolo←peduncuLLU(m) con sincope
d’avvio, assimilazione regressiva nc→cc, dittongazione della ŏ→uo, nonché
rotacizzazione osco mediterranea d→r.
4.ADDÓ CECA I ADDÓ FOCA
Letteralmente : Dove acceca e dove strangola! Détto
sarcasticamente di chi arrogante e presuntuoso, tracotante, protervo, ma
vigliacco e pusillanime inceda dandosi le arie di prepotente, con atteggiamento
insolente, impudente, sfrontato e teoricamente minaccioso, dando ad intendere
di volere usar violenza chi accecando e chi strangolando.
5.ADDÓ HÊ FATTO 'O PALUMMARO? DINTO Â VASCA D''E CAPITUNE?!
Ad litteram: dove ài imparato a fare il sommozzatore? Nella
tinozza dei capitoni?!La frase è usata sarcasticamente quando ci si voglia
prender giuoco di qualcuno che si atteggia a baldanzoso esperto di qualcosa di
cui in realtà non à esperienza, come di un operaio subacqueo che, in Luogo
delle profondità marine, manichette o pompe idrovore abbia avuto rapporti con
la sola acqua contenuta nelle tinozze dove vengono messi le anguille o i piú
grossi capitoni.
PALUMMARO s.vo m.le = Chi fa il mestiere di scendere
sott’acqua, completamente immerso, per compiere una determinata operazione;
voce napoletana, voce poi pervenuta nell’italiano come palombaro, usata come ò
detto per indicare chi esegue lavori sott'acqua (pesca, ricerche, ricuperi
ecc.) munito di scafandro; è voce che deriva per metafora da un lat. tardo
*palumbariu(m) 'sparviero', perché chi fa tale mestiere, immergendosi richiama
l'immagine dello sparviero che cali sulla preda.
Brak
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