1.A 'STU NUNNO SULO 'O CANTERO È NNICESSARIO.
Letteralmente: la sola cosa necessaria a questo mondo è il
pitale. Id est: niente e - soprattutto - nessuno sono veramente necessarii alla
buona riuascita dell'esistenza la sola cosa che conta è nutrirsi bene e
digerire meglio. In effetti con la parola cantero - oggetto destinato ad
accogliere gli esiti fisiologici - si vuole proprio adombrare la buona salute
indicata da una buona digestione, che intanto avviene se si è avuta la
possibilità di nutrirsi. Si tenga presente che la parola cantero non à l'esatto
corrispettivo in italiano essendo il pitale(con la quale parola si è reso in
italiano) destinato ad accogliere gli esiti prettamente liquidi, mentre il
cantaro era destinato ad accogliere quelli solidi.
2.'A TAVERNA D''O TRENTUNO.
Letteralmente: la taverna del trentuno. Cosí, a Napoli
sogliono, inalberandosi, paragonare la propria casa tutte quelle donne che
vedono i propri uomini e la numerosa prole ritornare in casa alle piú disparate
ore, pretendendo che venga servito loro un veloce pasto caldo. A tali pretese,
le donne si ribellano affermando che la casa non è la taverna del trentuno,
nota bettola del contado napoletano, situata in quel della zona vecchia di
Pozzuoli in via san Rocco oggi 16, all’insegna : TAVERNA DEL TRENTA E TRENTUNO
che prendeva il nome dal civico dove era ubicata e che aveva due ingressi
contigui: ai civici 30 e 31, bettola dove si servivano i pasti in modo
continuato a qualsiasi ora del giorno e della notte.
taverna = bettola, osteria di infimo ordine;
etimologicamente dal latino taberna(m) che significò bottega ed osteria ed è in
quest’ultimo significato che la voce fu accolta,con tipica alternanza
partenopea di B - V, nella lingua napoletana che per il significato di bottega
preferí ricorrere, come vedemmo alibi, al greco apoteca donde trasse la voce
puteca.
trentuno = agg. num. card. invar. numero naturale
corrispondente a trenta unità piú uno; nella numerazione araba è rappresentato
da 31, in quella romana da XXXI; l’etimo è dal lat. triginta + unum.
3.‘A TAVULA D''E PEZZENTIELLE. NUN MANCANO MAJE TUZZULELLE
Sul tavolo dei poverelli non mancano mai tozzi di pane
Id est: non ostante la miseria, su di un tavolo di
poverelli, ci saranno sempre - a disposizione di tutti - pezzetti di pane, sia
pure raffermi.
4.À TIRATO ‘A SCIAVECA oppure STA TIRANNO ‘A SCIAVECA
Letteralmente: À tirato la sciabica oppure Sta tirando la
sciabica
Ambedue le espressioni sono usate o posteriormente o nel
durante ad ironico ed antifrastico commento delle azioni di chi o reduce da o
operante un leggero e/o inconferente lavoro, faccia invece cialtronescamente le
viste di aver condotto a termine o di star facendo una faticosa incombenza;
la sciaveca è la grossa rete a strascico munita di ampio
sacco centrale ed ali laterali sorrette da sugheri galleggianti, che viene
calata in mare in prossimità della battigia e poi faticosamente tirata a riva a
forza di braccia dai pescatori che per poterlo piú agevolmente fare sogliono
entrare in acqua fino a restare a mollo con il fondoschiena donde
l’espressione: STÀ CU ‘E PPACCHE DINT’ A LL’ACQUA id est: star con le natiche
in acqua per significare oltre che lo star lavorando faticosamente anche lo
star in grande miseria nella convinzione (sia pure erronea) che il mestiere di
pescatore non sia mai abbastanza remunerativo.
Etimologicamente la parola sciaveca pervenuta nel toscano
come sciabica è derivata al napoletano (attraverso lo spagnolo xabeca)
dall’arabo shabaka da cui anche il portoghesejabeca/ga.
Pacche s. f. pl. di pacca= natica e per traslato ognuna
delle piú parti in cui si può dividere longitudinalmente una mela o una pera;
etimologicamente la voce è dal lat. med. pacca marcato sul long. pakka.
5.'A TONACA NUN FA 'O MONACO, 'A CHIERECA NUN FA 'O PREVETO,
NÈ 'A VARVA FA 'O FILOSEFO.
Ad litteram: la tonaca non fa un monaco, la tonsura non fa
un prete né la barba fa il filosofo; id est: l'apparenza può ingannare: infatti
non sono sufficienti piccoli segni esteriori per decretare la vera essenza o
personalità di un uomo.
Brak
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